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venerdì 13 gennaio 2012

2012 ANNO DI CHIUSURA DEGLI O. P. G.?


I Maya non c’entrano nulla, ma la voce è sempre più insistente. Si parla dell’inizio del processo di chiusura a partire da marzo 2012 (questo significa che l’O. P. G. di Napoli non chiuderà subito. Vedremo se si tratterà di alcuni anni o solo di pochi o molti mesi. Ci son voluti quasi 20 anni per chiudere tutti i manicomi civili dopo che è stata votata la legge Basaglia. Visto la situazione culturale diversa e il numero relativamente piccolo degli internati degli O. P. G. quel nuovo processo dovrebbe essere molto più rapido). Il Senatore Ignazio Marino che presiede la Commissione parlamentare della Sanità da notizia di una proposta di legge in tal senso nella sua Newsletter che potete leggere andando sul suo sito.
La gravissima anomalia giuridica italiana che manda in carcere persone dichiarate innocenti dai Tribunali dovrebbe scomparire.
Sul piano dei principi è soltanto, finalmente!, la riparazione benvenuta anche se tardiva di una ingiustizia grave da parte dell’ordinamento italiano. Un innocente non può stare in carcere!
Ma siccome interessano le persone e non le ideologie, e che, d’altronde, la situazione di queste persone è spesso complessa, al di là dei principi che sono sempre importanti punti di riferimento per la cultura e per l’azione, bisogna vedere in che misura concreta la chiusura degli O. P. G. aiuterà i nostri amici a vivere meglio.
Inoltre è importante non generare altri pregiudizi, peraltro finora già circolanti contro il personale e l’operato degli O. P. G., oppure creare allarme tra coloro che si preoccupano della sicurezza nella società.

L’ultima Newsletter del Senatore Marino linkava un articolo del giornalista Gramellini che dava l’esempio di un uomo, internato in O. P. G. perché, con la mano in tasca puntata a mo’ di pistola, ha tentato una rapina, e “stà ancora dentro”. Non penso che molti tra i 1300 internati d’Italia abbiano tentato di fare una rapina con la mano in tasca. Uno stava all’O. P. G. di Napoli. Sarà lui? Non stà più dentro perché l’anno scorso è stato collocato in una casa famiglia. All’O. P. G. di Napoli si lavora e tanto. Eppure questo fratello ha passato non solo troppo tempo in O. P. G., ma veramente un’infinità scandalosa di tempo: 19 anni!! Perché? Non per vera “pericolosità sociale”:  non aveva arma quel giorno, non era un violento, aveva “rapinato” 7 000 lire! 19 anni di carcere per 7000 lire!
Il problema era regolamentare e di soldi: chi doveva pagare per il suo mantenimento? Per buoni motivi regolamentari la Regione di residenza non si sentiva responsabile e non voleva gravare la sua spesa di questo nuovo ospite: rimanga (in carcere) a spese dello Stato! Ragionamento comprensibile quando devi far quadrare i tuoi conti. Ma se guardiamo il problema nel suo insieme, costa molto di più al cittadino pagatore di tasse un carcerato che un ospite di una casa famiglia. È quindi la burocrazia a “uccidere” e a sprecare i denari pubblici. “Uccidere” nel senso che 19 anni di O. P. G. finiscono di cronicizzare la malattia e far regredire psichicamente una persona. È vero, ci vuole il regolamento. Ma perché è così difficile fare veramente i regolamenti in funzione dei deboli? Perché non si riesce a trasferire dallo Stato alla Regione quanto serve al mantenimento di una persona che ne ha diritto, di farla seguire nelle sue varie collocazioni dal sussidio che gli spetta?
Qualche volta mi sembra di leggere il Libro sbagliato. Nel mio Libro è scritto che la legge è fatta per l’uomo e non il contrario. Accanto a persone che fanno con dedizione e intelligenza il loro meglio in un contesto regolamentare, talvolta pare di incontrare non solo il limite dell’uomo o la sua pigrizia, ma il culto del regolamento, per cui la persona diventa “fatta per la legge”.
Non giudico nessuno. Infatti anche noi cristiani siamo spesso molto inadeguati di fronte al Vangelo. Jean Vanier che ha speso la sua vita con e per gli handicappati mentali dice che la Chiesa ufficiale non sembra mettere i poveri al centro del suo interesse, mentre la Scrittura, Gesù, s. Paolo nelle sue lettere e nella sua visione della comunità cristiana, mettono concretamente il povero, i poveri al centro del loro interesse.
Jean Vanier cita un teologo anglicano che dice che “La Sapienza cristiana è l’incontro tra il grido del povero e il grido di Dio”. È una frase profondamente vera e ricca di varie dimensioni. Queste dimensioni si congiungono però proprio nella semplicità di questa frase. L’uomo di fronte a Dio, di fronte al Mistero della vita, rimane irrimediabilmente povero e può esprimere la sua povertà, il suo dolore, la sua solitudine, nel grido. Da parte sua, Dio grida verso l’uomo, cercandolo, offrendogli il suo Amore, il suo aiuto, un’Alleanza, incitandolo alla fiducia, mettendolo in guardia contro i pericoli e gli inganni del male. Quando c'è l’incontro tra queste grida, nasce il cammino dell’uomo con Dio nella fede, inizia la salvezza dell’uomo.
Il pericolo, per i cristiani come per tutti gli altri, è di dimenticare la verità o di fare retorica da dietro le scrivanie o da altri posti lontani dalla realtà. Possiamo non voler gridare a Dio la nostra propria povertà, di non accettare il grido del povero che stà accanto a noi, di non voler vedere la realtà propria e altrui, di non voler ascoltare il grido di Dio che cerca amici e figli e anche collaboratori nella sua ansia per l’uomo perduto.
La realtà, purtroppo, può essere anche il caso riportato da un medico in commento all’articolo citato: Egr. Dott. Gramellini ieri mattina, andando a trovare una mia assistita, che è parcheggiata in un SPDC -Servizio psichiatrico di diagnosi e cura- , ho pensato che questo posto è peggio del carcere: almeno in carcere hai la speranza dell'ora d'aria e del permesso premio. La saluto, non augurando nemmeno al mio peggior nemico un SPDC! scritto da  anonimo  email:  butterflyga@tiscali.it  16/12/2011 21:54
Noi (che lavoriamo in O. P. G. e anche i membri della Commissione parlamentare) vogliamo che i nostri amici siano concretamente trattati tutti con amore, e messi in condizioni degne dell’essere umano e utili al ricupero. Questo significa una lotta sul terreno, caso per caso, che non è vinta automaticamente.

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