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venerdì 25 aprile 2014

SI PUO’ STARE MEGLIO IN O. P. G. CHE ALTROVE?


La domanda è provocatoria ma la risposta, in alcuni casi è affermativa. Grazie a Dio sono pochi. La maggior parte sta molto meglio fuori dall'O. P. G. Se qualcuno ritorna di propria volontà più che mai le ragioni devono essere cercate nel percorso molto personale di ognuno.

Nonostante questo, due schemi si ripetono:

Il primo è che il carcere è fatto per accogliere dei condannati, quindi deve accettare le persone così come sono. L’O. P. G. di Napoli si sforza, con grande merito, di proporre dei percorsi riabilitativi, ma il DNA di un carcere è il contenimento. E colui che vuole poltrire o ha capacità troppo limitate di impegno in un progetto può sentirsi più accettato in una struttura come il carcere. La comunità invece è fondamentalmente rivolta al “programma” rieducativo. Per cui, con tutta la pazienza e l’amore che possono avere gli operatori per le persone concrete, qualcuno dei nostri malati può sentirsi non all’altezza non in armonia con questo orizzonte di riabilitazione. Qualche ex ospite dell’O. P. G. che è rimasto in contatto con me si è lamentato di essere “maltrattato” semplicemente per il programma di vita comunitario.

Il secondo è che la professionalità di cui parlavo nel post precedente può essere talvolta più facilmente assicurata e più facilmente controllata quando gli operatori fanno parte di un “corpo” che in una struttura “privata”. Ci sono stati alcuni casi dove si è visto che lo scopo della struttura che ha accolto un nostro paziente era troppo indirizzato al lucro per esempio.

Poi ci sono tutti gli altri casi, particolare alla storia di ogni paziente. Anche nel caso di rigetto da parte della famiglia o del vicinato le cause sono varie. Certamente un profondo senso di carità cristiana nelle famiglie o nelle comunità paesane, parrocchiali è un tesoro che purtroppo si è spesso perduto in questi ultimi decenni.
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