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venerdì 16 marzo 2012

VOCI

 
Arrivando all’interno dell’O. P. G. si sentono per primo gli uccelli. Ma questo è il privilegio degli uomini liberi che gli internati possono gustare solo quando fanno la passeggiata quotidiana attorno all’edificio. È comunque una voce amica e preziosa, che spero di incrementare a breve con una voliera.
  Camminando sono accolto da qualche saluto attraverso la finestra delle celle. Giungendo all’entrata dell’edificio mi arriva un vociare variegato che rivela una comunità al lavoro. Poi ci sono i saluti, i dialoghi che iniziano.
Si fanno molte cose in un O.P.G., ci sono molte voci, molte situazioni.
Ci sono anche le voci delle attività trattamentali.
Ci sono le voci ordinate o disordinate del karaoke (più che cantare gridano a tutto volume nel microfono) o del laboratorio teatrale, della partita di pallone (a proposito non abbiamo ancora giocato quest'anno: il campetto è troppo rovinato. Aiutatemi con la preghiera e le offerte a realizzare al più presto il nuovo campetto. un investimento utilissimo, purtroppo attualmente ancora molto sopra le nostre possibilità).
  Ma capita che ci siano ancora altre voci. Uno degli aspetti più disarmanti dell’O. P. G. è quando ci sono lamenti e grida di sofferenza o di rabbia. Quando stai in corsia e puoi vedere il volto di colui che grida o si lamenta, comprendere il discorso, è ancora accettabile, anche se stare a contatto tutto il giorno con queste situazioni, per gli operatori è stressante.
   Ma quando stai all’esterno come mi è successo in particolare quando ero occupato a piantare le rose e altre piante per il bordo della nostra cappella all’aria aperta, arrivano insieme le voci da tutti i piani, direttamente al cuore, come una morsa, come un eco viscerale della sofferenza umana contro la quale sai di poter molto poco.
   Non potevo comprendere le frasi. Già allora riconoscevo delle voci, non tutte. Il riconoscere o non riconoscere hanno entrambi una dimensione rassicurante e inquietante insieme: riconoscere mette in contatto con una persona un volto, un nome e questo rassicura ma confronta con quella situazione, quella persona che diventa il grido di cui ha perso il controllo; non riconoscere la voce mette distanza con le storie reali ma l’anonimato sembra sprigionare una riserva infinita di dolore che lascia disarmato.
   A volte si può sapere a quale momento della giornata ci si trova quando ad orari fissi qualcuno comincia a gridare o sbattere contro le sbarre.
   Se per noi queste voci hanno un significato importantissimo e fanno anche parte del peso della giornata, penso spesso agli internati imbarcati in un condominio forzato con altri che gridano di notte e li svegliano.
   Una delle richieste frequenti all'O.P.G è quella di cambiare cella, magari di poter avere una cella singola, anche se nel caso di uno che si lamenta o grida durante la notte tutto il corridoio è coinvolto e la cella singola non è un vero riparo. (Ci sono 60 celle, circa 40 singole a fronte di 20 a quattro letti – in teoria fatte per un massimo di tre letti –. Con la diminuzione relativa che registriamo dall’anno scorso, qualche cella ridiventa di tre persone, e un letto rimane libero.)
   Per questo e altri motivi qualche internato chiede anche di poter cambiare sezione. Le sezioni sono tutte uguali come spazi e attrezzature, ma talvolta il personale addetto e sopratutto gli internati ospitati fanno preferire una sezione ad un'altra.

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