è già del 30 maggio questa lettera di papa Francesco, ma per chi si avvicina o riflette sul mondo della pena e del carcere e sulla giustizia, vale la pena di leggere e meditare!
Per cui, buona lettura e buona meditazione!
LETTERA DI PAPA
FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL XIX CONGRESSO INTERNAZIONALE DELL'ASSOCIAZIONE
INTERNAZIONALE DI DIRITTO PENALE E
DEL III CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE LATINOAMERICANA
DI DIRITTO PENALE E CRIMINOLOGIA
DI DIRITTO PENALE E CRIMINOLOGIA
Signor Presidente e signor Segretario Esecutivo,
… desidero esprimervi il mio ringraziamento
personale, e anche quello di tutti gli uomini di buona volontà, per il vostro
servizio alla società e il vostro contributo allo sviluppo di una giustizia che
rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza discriminazioni, e
tuteli dovutamente le minoranze.
Sapete bene che il Diritto Penale richiede
una messa a fuoco multidisciplinare, che cerchi di integrare e di armonizzare
tutti gli aspetti che confluiscono nella realizzazione di un atto pienamente
umano, libero, consapevole e responsabile. Anche la Chiesa vorrebbe dire una
parola come parte della sua missione evangelizzatrice, e in fedeltà a Cristo,
che è venuto per «proclamare ai prigionieri la liberazione» (Lc 4, 18). Perciò, desidero condividere
con voi alcune idee che serbo nell’animo e che fanno parte del tesoro della
Scrittura e dell’esperienza millenaria del Popolo di Dio.
Fin dai primi tempi cristiani, i discepoli
di Gesù hanno cercato di far fronte alla fragilità del cuore umano, tante volte
debole. In modi diversi
e con svariate iniziative, hanno accompagnato e
sostenuto quanti soccombono sotto il peso del peccato e del male. Nonostante i
cambiamenti storici, tre elementi sono stati costanti: la soddisfazione o
riparazione del danno causato; la confessione, attraverso la quale l’uomo
esprime la propria conversione interiore; e la contrizione per giungere
all’incontro con l’amore misericordioso e risanante di Dio.
1. La riparazione. Il Signore ha poco a poco
insegnato al suo popolo che esiste un’asimmetria necessaria tra il delitto e la
pena, che non si pone rimedio a un occhio o un dente rotto rompendone un altro.
Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di giustiziare l’aggressore.
Un modello biblico di riparazione può essere
il Buon Samaritano. Senza pensare a perseguitare il colpevole perché si assuma
le conseguenze del suo atto, assiste colui che è rimasto ferito gravemente sul
ciglio della strada e si fa carico dei suoi bisogni (cfr.Lc 10, 25-37).
Nelle nostre società tendiamo a pensare che
i delitti si risolvano quando si cattura e condanna il delinquente, tirando
dritto dinanzi ai danni provocati o senza prestare sufficiente attenzione alla
situazione in cui restano le vittime. Ma sarebbe un errore identificare la
riparazione solo con il castigo, confondere la giustizia con la vendetta, il
che contribuirebbe solo ad accrescere la violenza, pur se istituzionalizzata.
L’esperienza ci dice che l’aumento e l’inasprimento delle pene spesso non
risolvono i problemi sociali, e non riescono neppure a far diminuire i tassi di
criminalità. E inoltre si possono generare gravi problemi per la società, come
sono le carceri sovrappopolate e le persone detenute senza condanna... In
quante occasioni si è visto il reo espiare la sua pena oggettivamente,
scontando la condanna senza però cambiare interiormente né ristabilirsi dalle
ferite del cuore.
A tale proposito, i mezzi di comunicazione,
nel loro legittimo esercizio della libertà di stampa, svolgono un ruolo molto
importante e hanno una grande responsabilità: sta a loro informare
correttamente e non contribuire a creare allarme o panico sociale quando si
danno notizie su fatti delittuosi. A essere in gioco sono la vita e la dignità
delle persone, che non possono diventare casi pubblicitari, spesso addirittura
morbosi, condannando i presunti colpevoli al disprezzo sociale prima che
vengano giudicati, o forzando le vittime, per fini sensazionalistici, a
rivivere pubblicamente il dolore provato.
2. La confessione è l’atteggiamento di chi
riconosce e si rammarica della propria colpa. Se il delinquente non viene
sufficientemente aiutato, se non gli viene offerta un’opportunità perché possa
convertirsi, finisce con l’essere vittima del sistema. È necessario fare
giustizia, ma la vera giustizia non si accontenta di castigare semplicemente il
colpevole. Bisogna andare oltre e fare il possibile per correggere, migliorare
ed educare l’uomo affinché maturi da ogni punto di vista, di modo che non si
scoraggi, affronti il danno causato e riesca a reimpostare la sua vita senza
restare schiacciato dal peso delle sue miserie.
Un modello biblico di confessione è quello
del buon ladrone, al quale Gesù promette il paradiso perché è stato capace di
riconoscere il suo errore: «Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le
nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23, 41).
Siamo tutti peccatori; Cristo è l’unico
giusto. Anche noi qualche volta corriamo il rischio di farci trascinare dal
peccato, dal male, dalla tentazione. In tutte le persone la capacità di fare
molto bene convive con la possibilità di causare tanto male, anche se lo si
vuole evitare (cfr. Rm 7, 18-19). E dobbiamo domandarci
perché alcuni cadono e altri no, essendo della stessa condizione umana.
Non poche volte la delinquenza affonda le
sue radici nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti della
corruzione e nel crimine organizzato, che cercano complici tra i più potenti e
vittime tra i più vulnerabili. Per prevenire questo flagello, non basta avere
leggi giuste, è necessario formare persone responsabili e capaci di metterle in
pratica. Una società retta solamente dalle regole del mercato e che crea false
aspettative e bisogni superflui, scarta quanti non sono all’altezza e impedisce
ai lenti, ai deboli e ai meno dotati di farsi strada nella vita (cfr. Evangelii gaudium, n. 209).
3. La contrizione è il portico del
pentimento, è quel sentiero privilegiato che porta al cuore di Dio, che ci
accoglie e ci dà un’altra opportunità, sempre che ci apriamo alla verità della
penitenza e ci lasciamo trasformare dalla sua misericordia. Di essa ci parla la
Sacra Scrittura quando descrive l’atteggiamento del Buon Pastore, che lascia le
novantanove pecore che non hanno bisogno delle sue cure e va a cercare quella
errante e sperduta (cfr. Gv 10, 1-15; Lc 15, 4-7), o quella del Padre buono,
che accoglie il figlio minore senza recriminazioni e con il perdono (cfr. Lc 15, 11-32). Significativo è anche
l’episodio della donna adultera, alla quale Gesù dice: «va’ e d'ora in poi non
peccare più» (Gv 8, 11). E
allude al contempo al Padre comune, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e
sopra i buoni, e piovere sui giusti e sugli ingiusti (cfr. Mt 5, 45), Gesù invita i suoi discepoli a
essere misericordiosi, a fare il bene a chi fa loro del male, a pregare per i
nemici, a porgere l’altra guancia, e a non serbare rancore...
L’atteggiamento di Dio, che primerea l’uomo peccatore offrendogli il suo
perdono, si presenta così come una giustizia superiore, allo stesso tempo
equanime e compassionevole, senza che ci sia contraddizione tra questi due
aspetti. Il perdono, di fatto, non elimina né sminuisce l’esigenza della
correzione, propria della giustizia, e non prescinde neppure dal bisogno di
conversione personale, ma va oltre, cercando di ristabilire i rapporti e di
reintegrare le persone nella società. Mi sembra che sia qui la grande sfida,
che tutti insieme dobbiamo affrontare, affinché le misure adottate contro il
male non si accontentino di reprimere, dissuadere e isolare quanti lo hanno
causato, ma li aiutino anche a riflettere, a percorrere i sentieri del bene, a
essere persone autentiche che, lontane dalle proprie miserie, diventino esse
stesse misericordiose. Pertanto, la Chiesa propone una giustizia che sia
umanizzatrice, genuinamente riconciliatrice, una giustizia che porti il
delinquente, attraverso un cammino educativo e di coraggiosa penitenza, alla
riabilitazione e al totale reinserimento nella comunità.
Quanto sarebbe importante e bello accogliere
questa sfida, perché non cadesse nell’oblio. Che bello sarebbe se si compissero
i passi necessari affinché il perdono non restasse unicamente nella sfera
privata, ma raggiungesse una vera dimensione politica e istituzionale per
creare così rapporti di convivenza armoniosa. Quanto bene si otterrebbe se ci
fosse un cambiamento di mentalità per evitare sofferenze inutili, soprattutto
tra i più indifesi.
Cari amici, procedete in questa direzione,
poiché comprendo che in ciò sta la differenza tra una società includente e una
escludente, che non mette al centro la persona umana e prescinde dagli avanzi
che non le servono più.
Mi congedo da voi affidandovi al Signore
Gesù, che nei giorni della sua vita terrena, fu arrestato e condannato
ingiustamente a morte e s’identificò con tutti i detenuti, colpevoli e non («carcerato
e siete venuti a trovarmi», Mt 25, 36). Discese anche su quelle
oscurità create dal male e dal peccato dell’uomo per portarvi la luce di una
giustizia che nobilita ed esalta, al fine di annunciare la Buona Novella della
salvezza e della conversione. Egli, che fu ingiustamente spogliato di tutto, vi
conceda il dono della saggezza, affinché i vostri dialoghi e le vostre
considerazioni si vedano ricompensati dal successo.
Vi chiedo di pregare per me, perché ne ho
tanto bisogno.
Cordialmente,
FRANCESCO
Vaticano, 30 maggio 2014
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