LETTERA
DI PAPA FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL XIX CONGRESSO INTERNAZIONALE
DELL'ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DI DIRITTO PENALE
E DEL III CONGRESSO DELL'ASSOCIAZIONE LATINOAMERICANA
DI DIRITTO PENALE E CRIMINOLOGIA
Signor Presidente e
signor Segretario Esecutivo,
… desidero esprimervi il mio
ringraziamento personale, e anche quello di tutti gli uomini di buona volontà,
per il vostro servizio alla società e il vostro contributo allo sviluppo di una
giustizia che rispetti la dignità e i diritti della persona umana, senza
discriminazioni, e tuteli dovutamente le minoranze.
Sapete bene che il Diritto
Penale richiede una messa a fuoco multidisciplinare, che cerchi di integrare e
di armonizzare tutti gli aspetti che confluiscono nella realizzazione di un
atto pienamente umano, libero, consapevole e responsabile. Anche la Chiesa
vorrebbe dire una parola come parte della sua missione evangelizzatrice, e in
fedeltà a Cristo, che è venuto per «proclamare ai prigionieri la liberazione» (Lc 4, 18). Perciò, desidero condividere
con voi alcune idee che serbo nell’animo e che fanno parte del tesoro della
Scrittura e dell’esperienza millenaria del Popolo di Dio.
Fin dai primi tempi cristiani, i
discepoli di Gesù hanno cercato di far fronte alla fragilità del cuore umano,
tante volte debole. In modi diversi e con svariate iniziative, hanno
accompagnato e
sostenuto quanti soccombono sotto il peso del peccato e del
male. Nonostante i cambiamenti storici, tre elementi sono stati costanti: la
soddisfazione o riparazione del danno causato; la confessione, attraverso la
quale l’uomo esprime la propria conversione interiore; e la contrizione per
giungere all’incontro con l’amore misericordioso e risanante di Dio.
1. La riparazione. Il Signore ha
poco a poco insegnato al suo popolo che esiste un’asimmetria necessaria tra il
delitto e la pena, che non si pone rimedio a un occhio o un dente rotto
rompendone un altro. Si tratta di rendere giustizia alla vittima, non di
giustiziare l’aggressore.
Un modello biblico di
riparazione può essere il Buon Samaritano. Senza pensare a perseguitare il
colpevole perché si assuma le conseguenze del suo atto, assiste colui che è
rimasto ferito gravemente sul ciglio della strada e si fa carico dei suoi
bisogni (cfr.Lc 10,
25-37).
Nelle nostre società tendiamo a
pensare che i delitti si risolvano quando si cattura e condanna il delinquente,
tirando dritto dinanzi ai danni provocati o senza prestare sufficiente
attenzione alla situazione in cui restano le vittime. Ma sarebbe un errore
identificare la riparazione solo con il castigo, confondere la giustizia con la
vendetta, il che contribuirebbe solo ad accrescere la violenza, pur se istituzionalizzata.
L’esperienza ci dice che l’aumento e l’inasprimento delle pene spesso non
risolvono i problemi sociali, e non riescono neppure a far diminuire i tassi di
criminalità. E inoltre si possono generare gravi problemi per la società, come
sono le carceri sovrappopolate e le persone detenute senza condanna... In
quante occasioni si è visto il reo espiare la sua pena oggettivamente,
scontando la condanna senza però cambiare interiormente né ristabilirsi dalle
ferite del cuore.
A tale proposito, i mezzi di
comunicazione, nel loro legittimo esercizio della libertà di stampa, svolgono
un ruolo molto importante e hanno una grande responsabilità: sta a loro
informare correttamente e non contribuire a creare allarme o panico sociale
quando si danno notizie su fatti delittuosi. A essere in gioco sono la vita e
la dignità delle persone, che non possono diventare casi pubblicitari, spesso
addirittura morbosi, condannando i presunti colpevoli al disprezzo sociale
prima che vengano giudicati, o forzando le vittime, per fini sensazionalistici,
a rivivere pubblicamente il dolore provato.
2. La confessione è
l’atteggiamento di chi riconosce e si rammarica della propria colpa. Se il
delinquente non viene sufficientemente aiutato, se non gli viene offerta
un’opportunità perché possa convertirsi, finisce con l’essere vittima del
sistema. È necessario fare giustizia, ma la vera giustizia non si accontenta di
castigare semplicemente il colpevole. Bisogna andare oltre e fare il possibile
per correggere, migliorare ed educare l’uomo affinché maturi da ogni punto di
vista, di modo che non si scoraggi, affronti il danno causato e riesca a
reimpostare la sua vita senza restare schiacciato dal peso delle sue miserie.
Un modello biblico di
confessione è quello del buon ladrone, al quale Gesù promette il paradiso
perché è stato capace di riconoscere il suo errore: «Noi giustamente, perché
riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di
male» (Lc 23, 41).
Siamo tutti peccatori; Cristo è
l’unico giusto. Anche noi qualche volta corriamo il rischio di farci trascinare
dal peccato, dal male, dalla tentazione. In tutte le persone la capacità di
fare molto bene convive con la possibilità di causare tanto male, anche se lo
si vuole evitare (cfr. Rm 7, 18-19). E dobbiamo domandarci
perché alcuni cadono e altri no, essendo della stessa condizione umana.
Non poche volte la delinquenza
affonda le sue radici nelle disuguaglianze economiche e sociali, nelle reti
della corruzione e nel crimine organizzato, che cercano complici tra i più
potenti e vittime tra i più vulnerabili. Per prevenire questo flagello, non
basta avere leggi giuste, è necessario formare persone responsabili e capaci di
metterle in pratica. Una società retta solamente dalle regole del mercato e che
crea false aspettative e bisogni superflui, scarta quanti non sono all’altezza
e impedisce ai lenti, ai deboli e ai meno dotati di farsi strada nella vita
(cfr. Evangelii gaudium,
n. 209).
3. La contrizione è il portico
del pentimento, è quel sentiero privilegiato che porta al cuore di Dio, che ci
accoglie e ci dà un’altra opportunità, sempre che ci apriamo alla verità della
penitenza e ci lasciamo trasformare dalla sua misericordia. Di essa ci parla la
Sacra Scrittura quando descrive l’atteggiamento del Buon Pastore, che lascia le
novantanove pecore che non hanno bisogno delle sue cure e va a cercare quella
errante e sperduta (cfr. Gv 10, 1-15; Lc 15, 4-7), o quella del Padre buono,
che accoglie il figlio minore senza recriminazioni e con il perdono (cfr. Lc 15, 11-32). Significativo è anche
l’episodio della donna adultera, alla quale Gesù dice: «va’ e d'ora in poi non
peccare più» (Gv 8, 11). E
allude al contempo al Padre comune, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e
sopra i buoni, e piovere sui giusti e sugli ingiusti (cfr. Mt 5, 45), Gesù invita i suoi discepoli a
essere misericordiosi, a fare il bene a chi fa loro del male, a pregare per i
nemici, a porgere l’altra guancia, e a non serbare rancore...
L’atteggiamento di Dio, che primerea l’uomo peccatore offrendogli il suo
perdono, si presenta così come una giustizia superiore, allo stesso tempo
equanime e compassionevole, senza che ci sia contraddizione tra questi due
aspetti. Il perdono, di fatto, non elimina né sminuisce l’esigenza della
correzione, propria della giustizia, e non prescinde neppure dal bisogno di
conversione personale, ma va oltre, cercando di ristabilire i rapporti e di
reintegrare le persone nella società. Mi sembra che sia qui la grande sfida,
che tutti insieme dobbiamo affrontare, affinché le misure adottate contro il
male non si accontentino di reprimere, dissuadere e isolare quanti lo hanno
causato, ma li aiutino anche a riflettere, a percorrere i sentieri del bene, a
essere persone autentiche che, lontane dalle proprie miserie, diventino esse
stesse misericordiose. Pertanto, la Chiesa propone una giustizia che sia
umanizzatrice, genuinamente riconciliatrice, una giustizia che porti il
delinquente, attraverso un cammino educativo e di coraggiosa penitenza, alla
riabilitazione e al totale reinserimento nella comunità.
Quanto sarebbe importante e
bello accogliere questa sfida, perché non cadesse nell’oblio. Che bello sarebbe
se si compissero i passi necessari affinché il perdono non restasse unicamente
nella sfera privata, ma raggiungesse una vera dimensione politica e
istituzionale per creare così rapporti di convivenza armoniosa. Quanto bene si
otterrebbe se ci fosse un cambiamento di mentalità per evitare sofferenze
inutili, soprattutto tra i più indifesi.
Cari amici, procedete in questa
direzione, poiché comprendo che in ciò sta la differenza tra una società
includente e una escludente, che non mette al centro la persona umana e
prescinde dagli avanzi che non le servono più.
Mi congedo da voi affidandovi al
Signore Gesù, che nei giorni della sua vita terrena, fu arrestato e condannato
ingiustamente a morte e s’identificò con tutti i detenuti, colpevoli e non
(«carcerato e siete venuti a trovarmi», Mt 25, 36). Discese anche su quelle
oscurità create dal male e dal peccato dell’uomo per portarvi la luce di una
giustizia che nobilita ed esalta, al fine di annunciare la Buona Novella della
salvezza e della conversione. Egli, che fu ingiustamente spogliato di tutto, vi
conceda il dono della saggezza, affinché i vostri dialoghi e le vostre considerazioni
si vedano ricompensati dal successo.
Vi chiedo di pregare per me,
perché ne ho tanto bisogno.
Cordialmente,
FRANCESCO
Vaticano, 30 maggio 2014____
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Grazie
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