Quando incontro un nuovo ospite della nostra struttura, mi
chiedo: “come ha fatto ad arrivare qui?”, e: “cosa si poteva fare per evitare
che ciò succedesse?” Infatti, una prima verità è che non si nasce pazzi, lo si
diventa, anche se ci sono predisposizioni neurologiche e ambientali.
Intanto vedo
affacciarsi per il futuro prossimo una vera emergenza malattia mentale con
risvolti di pericolosità sociale. Ce lo conferma ogni giorno la cronaca.
Questa nuova emergenza è figlia di altre emergenze che ben conosciamo: crisi
della famiglia, dei valori, della politica corrotta che sottrae risorse al
sociale, dell'uso diffuso di droghe, ecc.
Senza escludere la possibilità di eccezioni, un primo motivo
per cui un bambino crescendo sviluppa una patologia mentale è perché è stato male amato durante
l'infanzia. In modo classico: traumi e violenze di ogni genere
subiti in famiglia o altrove, disgregazione della famiglia, abbandono, adozioni
vissute male, ecc., oppure perché viziato: eduzione senza regole né
valori, senza punti di riferimento, abituato a seguire l'impulso del momento,
la soddisfazione immediata.
La parrocchia, le comunità educative fanno molto e possono
fare molto di più ancora perché un ragazzo borderline non attraversi il punto
di non ritorno dello squilibrio psichico, oppure perché una famiglia non si
arrenda di fronte alle difficoltà del suo compito educativo. Anche se i
risultati apparenti non sembreranno molto soddisfacenti, Dio vede e si salvano
veramente vite dando attenzione e amore sani a questi bambini e adolescenti.
Si diventa pazzi ancora perché
manca il baluardo della fede che permette di affrontare pressioni psichiche
molto forti. San Giovanni della Croce dice che “se uno entra nella notte oscura della fede, anche se è affetto da
“melancholia” (pazzia), guarisce. … e la sua anima è tutta sana perché è tutta
agita dall'amore”.
Sappiamo che alcuni Santi avevano problemi psichici. La fede
vera, anche se ancora imperfetta, opera una profonda guarigione psichica oltre
che spirituale. Se permette di guarire, a maggior ragione permette di non
cadere nella malattia. Non mi sembra di aver trovato tra i miei amici internati
persone con una fede ben strutturata. Avere cultura religiosa non significa
avere fede. Chi ha una fede radicata e viva, sana, non sta all’O.P.G.
Vorrei quindi sottolineare quanto è importante proporre a
tutte le età, in particolare durante l’età evolutiva, percorsi di fede molto seri
che offrano l'occasione di un incontro profondo, non superficiale, con Dio in
Gesù Cristo, e di un cammino sapienziale con la Scrittura, di entrare
nell’obbedienza della fede, superando il sentimentalismo della fede.
È sicuramente difficile perseverare con il ragazzo che non
capisce bene, è sempre chiuso, poco docile, eppure so che per i miei malati che
hanno ricevuto di più come vera esperienza spirituale, non è stato invano: sono
diversi dagli altri.
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